I due «Fascismi»
Che lo si voglia o non lo si voglia, che lo si ammetta o non lo si ammetta, che lo si accetti o non lo si accetti, dal 1945 ad oggi e nel contesto della vita politica italiana, esistono in generale due modi distinti, separati, antitetici ed irriducibilmente incompatibili ed inconciliabili di sentirsi, di definirsi e/o di pretendersi «Fascisti», nonché di ispirarsi (direttamente o indirettamente, formalmente e/o sostanzialmente), all’esperienza storica mussoliniana:
1. il primo modo (all’ora attuale largamente maggioritario all’interno della nostra cosiddetta «area politica»), è quello che tende ad esprimersi o a manifestarsi attraverso una serie di soggettive ed arbitrarie estrapolazioni ideologiche, politiche e pratiche del «Fascismo storico» (1919-1945): una complessa sequela, cioè, di frammentarie e parcellari interpretazioni o volgarizzazioni dello stesso fenomeno che -oltre a coesistere atomizzate e frazionate e ad interagire isolate e compartimentate all’interno di un vasto ed intricato coacervo di fazioni ideologicamente contraddittorie, politicamente antagoniste e praticamente inefficaci ed inconcludenti- rappresentano invariabilmente, ciascuna per suo conto, la più genuina e conforme imitazione, riproduzione, propagazione e giustificazione ideologica, politica e pratica del «Fascismo, così come l’Antifascismo voleva che fosse»;
2. il secondo modo (dalla fine della Seconda guerra mondiale drasticamente minoritario, sia all’interno che all’esterno della stessa «area»), è quello che tende ad esprimersi o a manifestarsi in perfetta armonia e corrispondenza con le intuizioni, le innovazioni e, soprattutto, il metodo che a suo tempo furono inaugurati, adottati, divulgati e messi in pratica dal «Fascismo tout-court».
Inutile chiedersi cosa sia il «Fascismo», così come l’Antifascismo voleva che fosse … (*).
Quel «fascismo», infatti, è esclusivamente un «fascismo teorico»: cioè, una visione-concezione dell’uomo, della società e del mondo che è strettamente «ideologica» e «dottrinaria», «schematica» e «statica», «dogmatica» e «speculativa».
È un «fascismo», insomma, che non è solo facilmente reperibile, identificabile e definibile grazie alle numerose e rassicuranti categorie che sono fornite dalle diverse teorie ideologiche, politiche e pratiche dell’antifascismo militante e/o della restaurazione democratica, ma -colmo di tutte le contraddizioni- è addirittura una visione-concezione dell’uomo della società e del mondo che rassomiglia come due gocce d’acqua ad una qualsiasi delle numerose e variegate teorie ideologiche, politiche, economiche, sociali, culturali e religiose che hanno contribuito, negli ultimi 1700 anni, alla distruzione verticale, orizzontale ed obliqua del tessuto connettivo delle nostre società tradizionali ed all’instaurazione, all’interno di esse, di un clima di continua e costante «guerra civile».
In altre parole, questo genere di «fascismo», come l’insieme delle idee e/o delle credenze che dal 313 d.C. (1) hanno contribuito al deperimento sistematico della Polis e della Civitas tradizionali, pretende intervenire ed agire sulla realtà (magari, per poterla in qualche modo «imbrigliare» o «addomesticare», «correggere» o «migliorare», «sconvolgere» o «rivoluzionare» e, qualche volta, persino … «predire» o «prevedere»!), semplicemente a partire da una soggettiva ed arbitraria «costruzione intellettuale» (*).
Se vogliamo, quindi, questo genere di «fascismo» è un sistema di pensiero e di azione che -seguendo la falsa riga ideologica, politica e pratica che è stata divulgata ed imposta negli ultimi 1700 anni all’Europa dal modello culturale «giudeo-mosaico» (*)- tenta invano di suggerire delle soluzioni alle eventuali problematiche del presente e dell’avvenire delle nostre società, utilizzando delle chiavi di lettura e degli strumenti di intervento che, per natura e costituzione, non possono mai corrispondere all’effettiva dinamica della realtà e della vita.
Il «Fascismo tout-court», invece, è esattamente il contrario del suddetto «Fascismo, così come l’Antifascismo voleva che fosse».
Per identificarlo e capirlo, nonché per essere davvero in grado di poterlo effettivamente interpretare e correttamente professare ed attuare, basta rileggere e meditare le seguenti riflessioni.
«L’opera d’arte -afferma Giovanni Gentile- è un fatto, e come tale va considerata. Non si può, prima che sia, dire come potrà o come dovrà essere (…) E poiché l’opera d’arte è un fatto, e non un complesso di precetti e teoriche, non c’è contenuto di cui si possa disputare prima che sia divenuto effettivamente contenuto; cioè, prima che sia innalzato ad opera d’arte». (2) (*)
Benito Mussolini -nel definire, nel 1919, la natura e la portata del suo nuovo movimento- sottolinea: «Noi siamo degli antipregiudizialisti, degli antidottrinari, dei problemisti, dei dinamici; (...) noi abbiamo stracciato tutte le verità rivelate, abbiamo sputato su tutti i dogmi, respinto tutti i paradisi, schernito tutti i ciarlatani -bianchi, rossi, neri- che mettono in commercio le droghe miracolose per dare "felicità" al genere umano. Non crediamo ai programmi, agli schemi, ai santi, agli apostoli: non crediamo soprattutto alla felicità, alla salvazione, alla terra promessa. Non crediamo a una soluzione unica -sia essa di specie economica o politica o morale- a una soluzione lineare dei problemi della vita, perché, -o illustri cantastorie di tutte le sacrestie- la vita non è lineare e non la ridurrete mai a un segmento chiuso fra bisogni primordiali» (3) . O ancora, nel 1921: «Noi non crediamo ai programmi dogmatici, a questa specie di cornici rigide che dovrebbero contenere e sacrificare la mutevole cangiante complessa realtà. Ci permettiamo il lusso di assommare e conciliare e superare in noi quelle antitesi in cui si imbestiano gli altri, che si fossilizzano in un monosillabo di affermazione o di negazione. Noi ci permettiamo il lusso di essere aristocratici e democratici: conservatori e progressisti; reazionari e rivoluzionari; legalitari e illegalitari, a seconda delle circostanze di tempo, di luogo, di ambiente, in una parola "di storia", nelle quali siamo costretti a vivere e ad agire. Il Fascismo non è una chiesa; è piuttosto una palestra. Non è un partito; è un movimento; non ha un programma bell’e fatto da realizzarsi nell’anno duemila per la semplice ragione che il Fascismo costruisce giorno per giorno l’edificio della sua volontà e della sua passione». (4)
Ecco dunque il «Fascismo». Non soltanto quello che la storia ha già conosciuto tra il 1919 ed il 1945, ma soprattutto quello che non è ancora nato. Quel «Fascismo», cioè, che continua e continuerà invariabilmente a fornire all’uomo della strada del nostro paese e del mondo gli indispensabili elementi di approccio e di realizzazione della possibile ed irrinunciabile «rivoluzione» politica, economica, sociale e culturale di domani.
Prima di essere, infatti, «ideologia», «dottrina» o semplici «programmi» politici, economici e sociali, il Fascismo di Gentile e di Mussolini è innanzitutto uno «stato d’animo»; è un «modo di volere», di «essere», di «esistere», di «agire». Ed è, soprattutto, un «metodo» ed uno «stile» di vita e di lavoro: cioè, una maniera positiva e dinamica di procedere all’interno della realtà, nonché una maniera volontaria ed energica di percepire, affrontare e risolvere le problematiche all’interno della società. (*)
Non per niente, Gentile realizzò dapprima la «riforma della scuola italiana» e, poi, teorizzò la «dottrina del Fascismo». E Mussolini, organizzò ed effettuò anticipatamente la «Marcia su Roma» e la «Riforma dello Stato» e, poi, si dilettò ad elaborare e formulare, in chiaro, il significato ed il senso della sua Rivoluzione.
Comunità Ardisco non Ordisco il Fascismo
(1) Data dell’Editto di Milano decretato dall’Imperatore Costantino (306-337). Quel decreto garantiva formalmente l’esercizio della religione cristiana all’interno dei territori dell’Impero Romano e sostanzialmente apriva le porte al riconoscimento del Cristianesimo come religione di Stato.
(2) Citato da Vittorio Vettori, "Giovanni Gentile", Edizioni Ritratti Storici Italiani, Graziano Terenzio ed Enzo Papi, 3ª edizione, vol. I°, Roma, 1970, pag. 71.
(3) Benito Mussolini, "Scritti e Discorsi", Tomo II, Ulrico Hoepli Editore, Milano, 1934 - XII, pag. 33 e 53-54.
(4) Benito Mussolini, "Scritti e Discorsi", Tomo II., Ulrico Hoepli Editore, Milano, 1934 - XII, pag. 153.
(Alberto Mariantoni)
ardisco non ordisco il fascismoforum alternativo
Edited by ben83 - 4/5/2004, 00:52